In esclusiva per noi, dalla Sicilia i suoni della….
TERRA
Valeria Cimò
(voce, percussioni e tastiera)
Romina Denaro
(contrabbasso)
sabato 10 dicembre 2016 ore 21
Teatro Agorà, via della Penitenza 33, Roma (Trastevere)
Solo con Miles Davis e con Gabriella Ferri avevo provato quel brivido gelato lungo la schiena, ma che cos’è che mi scuote? Che musica è questa?
Troppo facile dire folk, tradizionale, contadina, scaturita dalla tradizione orale, addirittura “World Music”…No, il canto e la musica di Valeria Cimò discende dalle prefiche, proviene dai canti dei nomadi sahariani, dal sussurrio delle donne sedute fuori dall’uscio, parche sapienti. Andreina De Tomassi
Parlare di canto dialettale potrebbe sviare chi ci legge, rischiando di sedurlo con cliché folk siculi, invece di mettere l’accento sulla poetica della polistrumentista, autrice Valeria Cimò che riprende il canto popolare e la danza ma vi costruisce dentro nuove architetture sonore e liriche, spingendo alcuni passaggi verso la contemporaneità e la musica colta. È canto antico e profondo al contempo, voce che diventa ritmo, melopea e narrazione, sussurro e urlo, verso salmodiante e acceso, vibrante, emotivo e visionario. Ciro De Rosa
Terramadonna è il repertorio del terzo disco di Valeria Cimò. Una trilogia che affonda radici nel primo disco “Sugnari”, sulla necessità del sogno per la mente collettiva e si sviluppa in “Menti”, monografia sulla dualità e sulla scissione ragione-emozione come tendenza occidentale.
Terramadonna ha il credo che rivendica una pratica contadina materna: l’impulso con cui perseveriamo lo scarso rispetto del corpo della terra è che non rispettiamo quello della donna, e di riflesso, neanche quello dell’uomo. Per questa ragione pongo la passione per le emozioni che creano proiezioni luminose dentro la caverna, al posto di un culto, che necessiterebbe continue epurazioni dalle illusioni religiose abituate a proiettare deità all’infuori di noi. Lo faccio per difendermi da un’altra passione che declina con l’immaturità tutta occidentale di dominare e controllare ogni cosa invece che rispettare il flusso che percorre eventi, maturazioni, fasi, cambiamenti, tutti dovuti alla irrinunciabile connessione naturale che vi è tra gli umani e le altre specie.
La gestione non priva di passio delle emozioni, (emozione vuol dire muoversi verso), mi svincola dalle degenerazioni ascetico solipsistiche. Mi concedo l’uso delle emozioni positive, maturate dall’equilibrio delle oscillazioni, come tecnologia vibrazionale. Governare tale tecnologia mi pone in diretto contatto con la presenza Pianeta Terra. Mi consente di creare geometrie auriche così utili alla comprensione di tutta la forma psicofisica.
E di materializzarle nelle relazioni.
Mi accorgo così che l’unico culto da rinvenire è quello dell’Essere nel paradosso del non Essere. Della forma capace di perdere la forma. Il culto della sapienza. Che fa della comprensione cultura trasmissibile. E quindi nuovo linguaggio. Penso ad una nuova Eva per questa Era, che diviene individuo solo se è in unione con gli individui, anche quelli che non sono ancora o che non saranno mai. In una parola il culto della Terra.
Il culto della madre terra rivisitato grazie e oltre il femminismo, oltre l’arcaico che così tanto ci nutre, nell’anarchia di cui mi cibo quotidianamente, oltre l’apocalisse, oltre il catastrofismo.
Mi inebrio della consapevolezza che vita e morte unite nella forma vanno da sole oltre la definizione storica e oltre la storia stessa: sono cioè la rivelazione dell’immortalità. Ho vissuto scrivendo, la libertà dell’indigeno e l’ispirazione del repertorio classico.